La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9887 del 15 aprile 2025, ha riconosciuto il diritto all’assegno divorzile in favore di una donna che, durante il matrimonio, ha sacrificato le proprie prospettive professionali per dedicarsi alla famiglia e per sostenere le esigenze lavorative del marito.

La vicenda ha per protagonisti due ex coniugi – indicati con nomi di fantasia, Barbara e Carlo – la cui unione è durata circa dieci anni ed è stata arricchita dalla nascita di due figli. Durante il matrimonio, Carlo ha accettato un trasferimento lavorativo a Roma, rifiutando precedenti proposte meno vantaggiose. Barbara, a sua volta, ha deciso di seguirlo, lasciando la città di residenza e optando per un impiego part-time, al fine di occuparsi della gestione domestica e della cura dei figli.

Questa scelta ha comportato per la donna una concreta penalizzazione economica e professionale, in quanto la sua carriera è rimasta sostanzialmente stagnante, mentre quella del marito ha avuto una significativa evoluzione. Tale squilibrio è stato attentamente valutato dai giudici, che in sede di appello hanno evidenziato il netto divario tra le posizioni economiche delle parti, elemento determinante per l’attribuzione dell’assegno divorzile.

Secondo la Corte, l’assegno divorzile non può più essere ancorato al tenore di vita matrimoniale, ma deve rispondere a una funzione  assistenziale, compensativa e perequativa  tenendo conto del contributo fornito dal coniuge più debole alla vita familiare, alla crescita della famiglia e anche al successo professionale dell’altro coniuge.

Nel caso in esame, i giudici hanno rilevato come la decisione della donna di ridurre l’impegno lavorativo sia stata funzionale al benessere del nucleo familiare e alla carriera del marito. Questo sacrificio, non adeguatamente compensato nel tempo, ha legittimato la richiesta dell’assegno, che è stato determinato nella misura di 600 euro mensili.

La Suprema Corte ha così ribadito l’importanza di valutare le condizioni economico-patrimoniali dei coniugi in relazione alla storia matrimoniale e alla durata dell’unione,senza trascurare l’età e le concrete possibilità di reinserimento lavorativo del richiedente.

In conclusione, la decisione valorizza il lavoro domestico e di cura svolto nel contesto matrimoniale e riafferma l’obbligo di riequilibrare, anche in fase di divorzio, le diseguaglianze prodotte da scelte condivise ma economicamente penalizzanti per uno dei due coniugi.